Sarebbe come accarezzare roccia, nuda pietra senza consolazione. Come avere spilli a scorrere nel mio sangue invece che stelle a pungere la notte. Ricomporre in immagini le impronte dei tuoi occhi è stato il mio dire e il mio non dire. Il mio giorno senza peso e l’attesa della luna. Il mio mare mai innocuo, il labirinto bianco di squame lucenti, da sfiorare in controluce, senza invenzioni né poesie.
Poi accadde. Tu hai ricomposto i segreti dell’amore in gocce di madreperla. Li hai gettati sulla spuma delle onde per farne farfalle, hai premuto le labbra contro il vento e pronunciato qualcosa (di mai esistito prima, forse) in una lingua straniera. Vuote costellazioni, senza madre e senza tempo. Essere io uno di questi astri con rosse radici che affondano la terra e luce e ancora luce, senza incertezze, così che nessun ramo mi abbandoni.